Vi siete mai chiesti cosa c’è al di là delle terre, delle usanze che conoscete e con cui avete a che fare ogni giorno? Ogni sabato preparatevi a scoprire tante curiosità e storie affascinanti sulla terra e i suoi popoli, per viaggiare con noi intorno al mondo.


Ad ogni buon voto, ti do 10 euro

E se per studiare i genitori iniziassero a pagarvi ogni buon voto raggiunto, voi cosa fareste? Vi lamentereste o accettereste?

È risaputo che per molti adolescenti studiare non è la migliore attività da fare nel pomeriggio, anzi è proprio l’ultima cosa che viene da fare; per chi è curioso di natura il problema non si pone, dato che studiano con gran piacere proprio perché si sentono pieni con sé stessi e il mondo.

Ma per quelli che proprio lancerebbero i libri dal balcone, dandogli fuoco, che fare? Migliaia di modi vengono sperimentati: da uno “studio matto e disperatissimo” di leopardiana memoria, fino ad arrivare alle punizioni come la requisizione del cellulare o non far uscire il sabato i propri figli con i loro amici. Sembrerebbe, però, essere arrivato un metodo bizzarro, controverso e oggetto di discussione accademica: pagare i propri figli ad ogni successo scolastico.

Ad un primo sguardo non sembrerebbe nulla di differente di una semplice paghetta che molti di noi studenti e studentesse riceviamo per il nostro dovere di studio; invece in questo caso si viene pagati al singolo voto ottenuto e con metodologie diverse: c’è chi dà la stessa quantità di denaro indipendentemente dal voto positivo che si prende (che sia un 7 o un 9 poco cambia), oppure c’è una variazione rispetto al grado (ovvero all’aumentare del voto, aumenta il denaro ricevuto) o ancora c’è chi aggiunge anche il malus: oltre a dare soldi, con le insufficienze si riprende una quantità di denaro fissa.

Quest’ultimo metodo è stato sperimentato da una madre inglese su suo figlio: la donna afferma di aver visto migliorare il rendimento scolastico del figlio in maniera esponenziale. Tutti quanti i metodi sono stati successivamente presi in esame da studiosi e economisti statunitensi per identificare se fossero efficaci. I risultati sono presto detti: gli studenti miglioravano sì il rendimento scolastico, ma a varie condizioni: se la somma che veniva offerta era inferiore ai 40 dollari, nemmeno ci ragionavano su, ma se si raggiungevano gli 80 allora accettavano con piacere; se poi venivano retribuiti subito erano più invogliati a migliorarsi e inoltre se venivano guadagnati soldi e mai detratti, allora l’impegno era costante nel tempo.

Va precisato che questi “incentivi monetari” venivano discussi e offerti solo pochissimo tempo prima dell’inizio dei test scolastici (più precisamente il SAT, cioè test standardizzati che vengono usati per indicare il grado di istruzione degli studenti e delle scuole) e che molto spesso venivano spesi per perfezionare la propria capacità di studio e propria conoscenza.

Tutto molto bello, ma anche la “paga studentesca” ha i suoi limiti e difetti; ad esempio nel caso della madre inglese il figlio potrebbe sviluppare burn-out frequenti e complessi sul fatto che non si può permettere un singolo errore e più in generale va detto che incentivare lo studio attraverso il denaro è da considerarsi un po’ come ultima spiaggia, perché si può vedere come un grattacapo irrisolto al quale non si riesce a trovare una soluzione meno invasiva nei confronti di chi è studente e ha insicurezze da qualsiasi parte si possa girare.

Potranno questi diventare dei metodi validi anche per gli studenti della nostra scuola?

a cura di Francesco Contu

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