In questa rubrica le notizie provengono dalla caverna, come l’uomo del mito di Platone e, proprio come lui, uscendo acquisiscono una nuova luce e nuove conoscenze. Per questo motivo qui ci proponiamo di raccontare ogni giovedì quella filosofia che è al centro della vita dell’uomo da millenni.


Poesia e Filosofia: il miele e l’assenzio

La vocazione dell’uomo dalle sue origini è sempre stata di dar luce a ogni angolo buio della sua esistenza e di ciò che sta al di fuori della sua anima, lo scioglimento di tutti i dubbi esistenziali radicati nell’essenza umana. Per arrivare a questo, sono nati vari modi per esternare le proprie domande, per indagare sulla propria esistenza e tutto ciò che ha a che fare con la natura umana, uno dei più importanti fu certamente la filosofia: la pratica per eccellenza dell’esistenzialismo e teorizzazioni. Essa vede il mondo, lo analizza e scava sempre più in profondità trovando sempre nuovi quesiti a cui dare una risposta. Gli stessi filosofi però, spesso, dividono gli uomini in “svegli” e “dormienti”, ponendo un limite tra coloro che sono in grado di vedere la verità proposta dalla filosofia e coloro che invece convivono con la costante distanza da essa, con la vista annebbiata.

Cosa che non accadeva con la poesia: l’arte di creare, che in qualche modo appartiene a tutti e ognuno può comprenderla. Si tratta della concretizzazione delle emozioni umane, impregnate su carta tramite suoni, ritmo, posizioni creando un legame tra le parole e l’anima, percorso dalle emozioni che ne scaturiscono. I filosofi però non vedevano di buon occhio quest’arte, nonostante fosse incastonata in quella società. Qualsiasi greco colto, infatti, in piena età classica conosceva a memoria i versi delle opere omeriche, e come ben sappiamo i grandi classici come l’Iliade e l’Odissea hanno proiettato la propria ombra fino ai giorni nostri, dunque non c’è dubbio che nell’antica Grecia si sentisse ancora di più l’importanza delle tematiche trattate.

Filosofia e poesia dunque si ponevano, già allora, come obiettivo quello di raggiungere le profondità più nascoste dell’essere umano e svelarne ogni mistero, seppur con modalità diverse.
Ma i filosofi greci erano i primi a non vedere la poesia di buon occhio, percependola come una falsa verità, un ostacolo al raggiungimento della verità. Quest’idea è cambiata nel tempo, concependo filosofi come Hegel definire l’arte in generale come il primo gradino verso il raggiungimento della risoluzione del finito nell’infinito, lo spirito assoluto. Quest’ultimo si ramifica in tre fasi, seguendo la regola di tesi-antitesi-sintesi tipica della filosofia hegeliana. Quella dell’arte rimane comunque un gradino più basso rispetto a quello della filosofia, ma comunque rappresenta un piccolo passo verso la totalità dello spirito.

Nell’antica Grecia i filosofi non erano dello stesso avviso. Possiamo citare per esempio Platone che, avendo criticato la società a lui contemporanea proponendone una nuova modificata radicalmente, era finito per criticare anche la poetica di Omero e la poesia in generale, capace di influenzare l’animo umano e allontanarlo dal bene comune, al quale, secondo Platone, si poteva arrivare tramite una “poesia filosofica”.

Una corrente filosofica che contrastava completamente l’utilizzo della poesia era quella epicureista. Epicuro, infatti, si limita a criticare Omero e il suo operato, senza proporre alcuna alternativa.

Ciò rende sorprendente l’idea dell’autore Lucrezio, assiduo sostenitore della filosofia epicureista, di rendere il suo più celebre capolavoro De rerum natura un’opera scritta in versi, che rispetta alcune caratteristiche del genere epico. Con essa Lucrezio era intenzionato a espandere la filosofia che proponeva una via verso la felicità sulla terra, tramite l’allontanamento dalle preoccupazioni della vita umana. Egli si sente in dovere di giustificare la sua scelta in una sorta di secondo proemio, in cui definisce il rapporto tra la poesia e la filosofia di Epicuro con il paragone tra illusioni miele e l’assenzio. Quest’ultimo era utilizzato per creare medicinali che, si sa, non sono famosi per il loro gusto. Lucrezio vedeva la filosofia epicureista come una medicina difficile da assumere, ma che mischiata con del miele diventava più “invitante”, così come la poesia gli avrebbe permesso di veicolare meglio il messaggio che voleva trasmettere, essendo un mezzo di comunicazione più vicino ai lettori, senza il quale probabilmente la sua opera non sarebbe arrivata fino ai giorni nostri, rappresentando la testimonianza più importante della corrente filosofica di Epicuro.

Queste sono due vie che hanno permesso l’uomo di avvicinarsi al proprio animo, di carpire i propri misteri, diverse ma che condividono lo stesso obiettivo.
Forse proprio grazie a questo, al modo differente in cui si approcciano alle nostre domande, ci permettono di indagare meglio i più svariati aspetti dell’essere umano e dunque del mondo. Magari non raggiungeremo mai la comprensione assoluta, ma di certo non smetteremo mai di provarci.

A cura di Fede Acca


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