In questa rubrica le notizie provengono dalla caverna, come l’uomo del mito di Platone e, proprio come lui, uscendo acquisiscono una nuova luce e nuove conoscenze. Per questo motivo qui ci proponiamo di raccontare ogni giovedì quella filosofia che è al centro della vita dell’uomo da millenni.


Da Hobbes a Locke: la nascita dello stato civile

Nell’età moderna, a partire dal XVII secolo, si affermò in Europa una corrente giuridico-filosofica chiamata giusnaturalismo (da ius naturae, diritto naturale), che, ponendosi il problema della nascita della società, aveva come obiettivo quello di fare della morale e della politica due scienze autonome e svincolate dalla religione, utilizzando il metodo matematico-deduttivo finora attribuito solo allo studio della natura, capendo il loro funzionamento senza pensare a Dio.

I problemi che i giusnaturalisti si posero erano questi: “Perchè la società umana è sorta?”, “Come hanno fatto gli uomini a diventare gruppi di persone che si aiutano a vicenda?”, “Come e dove è nato lo stato?”. Partendo da questi quesiti, che divennero la base della dottrina illuminista, per ottenere una risposta alle loro domande, i giusnaturalisti coniarono due concetti: quello di stato di natura e quello di stato civile. Lo stato di natura rappresenta il modo in cui l’uomo viveva alle origini della propria esistenza, in una situazione di assoluta libertà senza leggi. Hobbes si inserì in questo contesto affermando che l’uomo alle origini viveva in un costante conflitto, in una bellum omnium contra omnes (“la guerra di tutti contro tutti”) permanente e universale. Senza alcuna legge, per Hobbes ogni individuo verrebbe mosso dal suo più intimo istinto e cercherebbe di danneggiare gli altri, eliminando chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei propri desideri e vedendo il prossimo come un nemico.

Lo stato civile rappresenta invece il modo di vivere degli uomini che, di comune accordo, decisero di “vivere insieme”, con un contratto in cui limitavano la propria libertà sottoscrivendo e rispettando le leggi. I giusnaturalisti avanzarono per primi l’idea che lo stato civile avesse come base un patto tra tutti i cittadini, unica possibilità di sfuggire alla morte violenta, e unica possibilità di giustizia e di uguaglianza, dove non vige più la legge del più forte. Già Lucrezio, rifacendosi all’Epicureismo, nel De Rerum Natura, parlando della nascita dello stato di diritto, aveva scritto che lo Stato può nascere solo da una comunia foedera pacis, cioè da degli accordi comuni di pace.

Teorizzando il potere assoluto, Hobbes si rese conto che il contratto che dà vita allo Stato non è semplicemente un patto “di unione” che lega tra di loro una molteplicità di individui, ma anche un patto “di sottomissione”, un pactum subiectionis stipulato da tale molteplicità di individui nei confronti di un’autorità sovraindividuale esclusa dal patto stesso e, dunque, dotata di un potere illimitato. Per far sì che le leggi vengano rispettate per il filosofo c’è bisogno di un arbitro, di un gigante che costringa gli uomini a stare nel contratto, poiché “i patti senza spada non sono che parole senza alcuna forza per rendere sicuro l’uomo”. Hobbes vide questa figura nel Leviatano, mostro biblico impersonato nella realtà dal re, garante del diritto di conservazione della vita dei cittadini, il primule bonum, che per svolgere il suo compito detiene il monopolio della forza di tutti, che si oppone a quella del singolo cittadino che trasgredisce la legge.

 Per Hobbes il re è solo un garante delle leggi, a cui non è subordinato eccetto quella del diritto di natura sulla conservazione della vita, per cui, se la trasgredisce, può essere deposto dai propri cittadini. Il sovrano deve essere absolutus, cioè sciolto dal patto, dalle leggi e dalla religione, che coincidono in lui.

Partendo dal pensiero di Hobbes, ad opporsi alla sua dottrina fu John Locke, filosofo del 1600. Anche Locke riconobbe uno stato di natura alle origini della vita umana, dove l’uomo vive senza legge in uno stato di natura contrassegnato dall’uguaglianza. Se per Hobbes questo stato è un uguaglianza di forza (πλεονεξία, pleonexia) per Locke è un uguaglianza di diritti, perché tutti gli uomini hanno gli stessi diritti di vivere e di poter godere liberamente dei propri beni, e della propria proprietà privata. Ciò consentì a Locke di dire che lo stato di natura non è uno stato di tutti contro tutti, in quanto è diritto di ciascuno godere dei propri beni.

Lo stato di natura per Locke è pacifico e porta alla conservazione della vita, anche se gli uomini non possono vivere realmente senza una legge che regola questi diritti, in quanto lo stato di natura è a discrezione del singolo. I diritti naturali sono come delle “leggi naturali”, che però possono essere violate, dato che non c’è un potere a garantire ciò. La pace è quindi solo apparente, e c’è, anche in questo caso, la necessità di passare da uno stato di natura a uno stato civile, e di stipulare un patto per evitare il conflitto interno della popolazione. Per Locke la guerra, a differenza del pensiero di Hobbes, non è una condizione naturale e permanente, ma una degenerazione, una possibilità, una conseguenza della violazione delle leggi naturali. Mentre in Hobbes gli uomini, per passare allo stato civile, devono rinunciare alla libertà in modo incondizionato e sottostare alle leggi, per Locke i diritti naturali devono essere rispettati nel patto sottoscritto.

Nel patto non vengono cedute la libertà e i diritti naturali, ma si rinuncia solo alla vendetta e alla giustizia personale, lasciando che lo Stato se ne occupi. Secondo Locke un uomo non può rendersi schiavo di un altro uomo sottoscrivendo un patto, perché il contratto deve garantire il diritto naturale alla libertà. Per Locke la giustizia è un affare di stato, e se il sovrano non riesce a far rispettare le leggi o egli stesso non le rispetta deve essere deposto.

Se si cerca la motivazione delle profonde differenze di pensiero di due filosofi che sono vissuti circa negli stessi anni, essa può certamente trovarsi nell’influenza data dal periodo storico in continuo cambiamento in cui essi sono vissuti: mentre Hobbes teorizzò il potere assoluto di Carlo I Stuart, Locke visse la sua giovinezza nel periodo più difficile della storia dell’Inghilterra, segnato dalla prima rivoluzione inglese e dalla decapitazione dello stesso sovrano, che perse il ruolo di Leviatano, di uomo intoccabile che finora aveva tenuto.

A cura di Chiara Pillicu


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