Ogni mercoledì le innovazioni si fanno protagoniste di questa rubrica.
Approfondimenti su fisica, scienza e tecnologia raccontati dagli occhi degli studenti per gli studenti.


L’ingrediente segreto in cucina: la stampa 3D

La stampa 3D è entrata a far parte di progetti e attività sempre più frequentemente negli ultimi tempi e sicuramente sempre più persone sanno cosa sia. Il funzionamento è molto semplice: in genere un filamento di plastica (PLA) viene scaldato da una testina che crea uno strato più o meno spesso in una base e il processo si ripete varie volte fino a che non si completa l’oggetto; questo metodo viene detto “produzione adduttiva”. E se si usasse lo stesso per creare cibi?

È del 20 marzo la notizia che si è riusciti a creare una “fetta” di cheesecake a base di Nutella e confettura di fragole tramite stampa 3D (seppur dall’aspetto non proprio invitante); non è la prima volta che viene prodotto un alimento tramite questo metodo, difatti negli anni scorsi cibi come hamburger vegetali sono stati messi sul mercato, ma gli ingegneri della Columbia University, a New York, si sono spinti oltre e non solo hanno usato tale metodo, ma hanno utilizzato più ingredienti contemporaneamente, sotto forma di inchiostri speciali commestibili, e cotto il cibo allo stesso tempo grazie a due laser inseriti nella testina per la prima volta al mondo.

Le difficoltà principali erano due: anzitutto capire come andava strutturata la fetta e poi gli ingredienti, ben 7: pasta per cracker Graham, burro di arachidi, confettura di fragole, Nutella, purea di banane, succo di ciliegia e glassa dovevano essere abbastanza viscosi da poter passare senza problemi nella testina ma solidi tali da sostenersi una volta usciti e poggiati sulla base; la soluzione, dopo 7 tentativi, nel primo caso ha portato a una strutturazione simile alle classiche torte, cioè elementi più consistenti messi a sorreggere quelli più morbidi; per il secondo si è ricorso all’utilizzo di preparati viscosi messi in siringhe comandate in modo da poter essere aggiunti nelle giuste quantità.

Ma la grande novità è stata, per l’appunto, cuocere il cibo in contemporanea con la “stesura” del preparato tramite l’utilizzo di due laser: uno “blu” a 445 nanometri di lunghezza d’onda e l’altro a 980 nanometri, praticamente un infrarosso; il loro utilizzo in simbiosi ha consentito la precisione della cottura, dato che a queste lunghezze i laser son facilmente pilotabili. Prima di questo test il cibo creato doveva essere cotto o fritto solo successivamente.

Il risultato di tutto il lavoro? Una pseudo-fetta non proprio appetitosa ma commestibile con, però, delle problematiche: lo scarso appeal dei prodotti, costi e tempi di produzione elevati dovuti alla stampa stessa, problemi a cui i ricercatori troveranno in futuro una soluzione. Ma già da oggi ci sono vantaggi non indifferenti, quali la possibile riduzione degli sprechi, la creazione di forme più complesse e la possibilità di creare derivati di cibi più facili da ingerire per i malati ma con pari proprietà nutritive.

a cura di Francesco Contu