In questa rubrica le notizie provengono dalla caverna, come l’uomo del mito di Platone e, proprio come lui, uscendo acquisiscono una nuova luce e nuove conoscenze. Per questo motivo qui ci proponiamo di raccontare ogni giovedì quella filosofia che è al centro della vita dell’uomo da millenni.


Dante e la filosofia: dalla Politica ai Trattati

Nell’Europa latina, il XIII e il XIV secolo furono due secoli di importanti innovazioni non solo in campo teologico e metafisico, ma anche in abiti caratteristici della filosofia: la logica, la teoria politica e la fisica. La scoperta della Politica di Aristotele spinse i medievali, alla luce del dibattito sul rapporto tra il potere civile e quello papale, a ripensare la natura e il fine della comunità politica. 

La Politica fu l’unico scritto aristotelico che ottenne successo nell’Occidente latino, rimanendo però sconosciuta nell’Oriente greco e nel mondo arabo. L’opera fu tradotta in latino da Guglielmo di Moerbeke nei primi anni Sessanta del XIII secolo, venendo poco dopo commentata da Tommaso d’Aquino e Alberto Magno, e inserita nel programma degli studi universitari delle Arti. 

Le dottrine aristoteliche determinarono un profondo cambiamento nel pensiero politico, spingendo a considerare la comunità politica come una conseguenza dell’essere socievole dell’uomo e un mezzo per la sua tendenza verso una vita terrena felice. Questo portò a un parziale distaccamento dall’idea del potere politico vincolato dalla religione secondo cui l’uomo è incapace di realizzare giustizia da solo e alla Chiesa viene attribuita un’autorità sia spirituale che temporale. 

Il contesto storico in cui la Politica venne recepita era caratterizzato da un lato, dal declino dell’Impero a favore dei Regni e dei Comuni e dall’altro, dall’affermazione della supremazia pontificia su qualsiasi potere secolare, ribadita nella bolla Unam Sanctam del novembre 1302 di Bonifacio VIII. 

La maggioranza della trattatistica politica del primo quarto del XIV secolo è coinvolta nel dibattito tra i difensori della tesi ierocratica del papa (dal greco ἱερός, hierós “sacro”, e κράτος, krátos “potere”) e i suoi oppositori. 

Tra questi ultimi si distinse la figura di Dante Alighieri. 

Il trattato La Monarchia, scritto dal poeta in latino (lingua di comunicazione tra gli intellettuali), fu l’opera teorica che provocò più vivaci accoglienze e destinata alla più controversa fortuna. La Monarchia raccoglie in forma organica le idee politiche dell’autore ed è suddivisa in tre libri, ognuno dei quali è dedicato a un aspetto diverso del tema centrale, la “monarchia temporale”. 

Il primo libro sostiene e argomenta la necessità storica e filosofica della monarchia universale. Essa ha come fine quello di garantire all’uomo le condizioni fondamentali per permettere la realizzazione delle proprie potenzialità. La cupidigia dei beni materiali, che provoca contese e guerre, allontana l’uomo dalla corretta morale; se all’unico monarca universale spettassero tutti i beni, gli uomini sarebbero liberati dalla cupidigia, e allo stesso tempo anche il sovrano ne sarebbe esente in quanto possessore di tutto. La necessità dell’Impero è provata anche dal bisogno di un arbitro che orienti l’umanità verso l’unica fine della conoscenza e dell’azione positiva. 

Il ragionamento dantesco è tratto da Aristotele: la politica è una scienza pratica finalizzata all’azione e a un fine ultimo, cioè l’attuazione completa dell’intelletto. Rifacendosi al De Anima di Averroè Dante spiega che il fine è attuabile solo dal genere umano nel suo insieme solo in condizioni di pace universale, che può essere garantita solo da un’autorità politica universale, quella dell’Impero. 

Il secondo libro è dedicato a considerazioni storiche, interpretate alla luce di una nuova concezione della storia influenzata dalla provvidenza e vista con gli occhi della teologia. Argomenti di ragione e di fede dimostrano la fondazione dell’Impero sulla volontà divina e perciò su ciò che Dio vuole nella società umana, il diritto, conoscibile attraverso i segni esteriori della storia. 

Il terzo libro è dedicato ai rapporti tra Impero e Chiesa: Dante confuta entrambe le tesi entrando in contrasto sia con i sostenitori delle tesi ierocratiche sia con i sostenitori dell’autonomia politica e religiosa dei sovrani nazionali. Il pontefice si configura come l’unico ente ad avere due fini ultimi: la felicità di questa vita e di quella eterna, in quanto corruttibile e incorruttibile. Alla prima beatitudo l’uomo giunge attraverso gli insegnamenti filosofici, diretto dall’imperatore, alla seconda attraverso quelli intellettuali. La Monarchia è l’opera dantesca più fortemente strumentalizzata a causa della materia politica e delle questioni importanti che affronta. La Chiesa osteggiò come possibile l’opera, perseguitandola attraverso la censura ecclesiastica con la distruzione pubblica di numerose copie. (fine della prima parte)

A cura di Chiara Pillicu


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